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DIVISIONE ACQUI, UNA MEMORIA CONDIVISA

Di fronte a una tragedia, molto più dei fatti storici ci colpiscono le testimonianze di chi ha vissuto il dolore sulla propria pelle o ha convissuto con esso tramite i sofferti racconti dei propri cari. Come esseri umani, è impossibile non provare empatia per chi ha subito ingiustizie e soprusi o ha sacrificato la propria vita per la causa in cui credeva. Ecco quindi che anche nei momenti più bui si instaurano relazioni e si stringono legami, si permette alla propria etica di prevalere sulle ideologie e sulla paura, si possono scorgere dei barlumi di luce e di speranza. Nel commemorare la Divisione Acqui, la vicinanza umana dimostrata dalla gente di Cefalonia va ricordata quanto la triste vicenda dei soldati italiani. Sono infiniti i racconti degli isolani che hanno nascosto, protetto, nutrito i soldati italiani a rischio della loro stessa vita. Sono altrettanto numerosi i sofferti racconti di chi ha perso dei familiari proprio per le rappresaglie dei tedeschi. Nonostante la guerra e il ruolo di invasori degli italiani, i ragazzi della Divisione Acqui non sono ricordati con rabbia e disprezzo, ma con il sorriso che si dedica a dei giovani lontani dal loro paese, più uomini che soldati, capaci di atti di gentilezza e di farsi voler bene.

Uno di questi ragazzi si chiamava Giuseppe Pazzocco, classe 1922, di Roveré Veronese, ed arrivò a Santa Maura - Corfù nel 1942 per poi giungere Cefalonia nel febbraio del 1943. La famiglia non ha molte informazioni sul periodo passato nelle Isole Ionie: il biglietto per arrivare fino a lì, alcune parole di saluto imparate in Grecia, alcuni sbiaditi ricordi di famiglia. Come gli altri reduci, Giuseppe non parlava volentieri della guerra. Ha lasciato poche righe su un foglio di carta, un elenco di date ed eventi, rari aneddoti. Non è facile trovare le parole per raccontare il panico ed il caos di quei giorni a Cefalonia, la cattura e l'orrore della deportazione in Germania. Giuseppe faceva il pane nell'accampamento, conosceva probabilmente la gente del posto. Non è morto con i suoi commilitoni perché, secondo alcuni racconti, era malato il giorno della fucilazione e si trovava in un altro luogo. I documenti in possesso della famiglia raccontano che tra il giorno 9 ed il 22 settembre fece parte della "formazione partigiana" Divisione Acqui ma a metà ottobre fu catturato e portato a Salonicco, dove c'era un centro per lo smistamento. Pare che i prigionieri venissero portati sulla terra ferma con delle navi e che due di queste furono affondate da delle bombe. Mentre i soldati cercavano di salvarsi raggiungendo la riva, i tedeschi sparavano ai superstiti, tingendo il mare di rosso. Dopo un lungo periodo come prigioniero politico in un campo di concentramento e poi in un campo di lavoro, Giuseppe tornò a casa nel 1945. Uno scheletrico ragazzo di 23 anni scampato a un eccidio, al lager e ai bombardamenti sulla città di Dresda, tornato a Roveré Veronese con mezzi di fortuna, sfamandosi con zollette di zucchero trovate nelle case abbandonate. 

Abbiamo trovato la stessa resilienza nei racconti di un’elegante signora incontrata in una caldissima giornata d’estate all’ufficio postale. Fortunatamente la fila era lunga e abbiamo avuto molto tempo per parlare con la Signora Stamo. Ci ha raccontato di vivere ad Atene e di passare l’estate a Faraklata, il suo paese di origine. Ha studiato in Italia tanti anni prima e ama molto la nostra lingua, la nostra gente. Gli italiani fanno parte della sua storia familiare e ci sorprendiamo nel sentire tanta emozione ed affetto a dispetto delle rappresaglie che la sua famiglia ha subito proprio per la sua solidarietà verso gli italiani. Nel settembre del 1943, nelle tragiche giornate in cui i soldati italiani furono fucilati con codardia dagli ex alleati tedeschi, sua zia soccorse il capitano Pampaloni, unico superstite del suo reparto e figura che alcuni decenni dopo sarebbe diventata la protagonista, mistificata e stereotipata, del romanzo Il Capitano del Mandolino Corelli. La zia portò Pampaloni dal padre, il Pope di Faraklata. Il soldato fu curato e si unì ai partigiani, trasferendosi poi in Grecia continentale per continuare a combattere i tedeschi. I tedeschi riuscirono tuttavia a sapere dell’aiuto fornito dal Pope al militare italiano ed impiccarono il figlio all’albero di fronte a casa loro. Da allora su quell’albero è affissa una croce. La famiglia mantenne comunque i contatti con Pampaloni dopo la fine della guerra. Stamo lo incontrò personalmente da ragazza, mentre era in Italia, accolta con tutti gli onori al Circolo Ufficiali di Firenze in una serata d’onore che non dimenticherà mai.

Come disse Guy De Maupassant, la memoria è un mondo più perfetto del nostro perché restituisce la vita a chi non c’è più. Ricordare eventi, volti e voci permette al passato di permanere nel presente, di salvarne gli onori e se possibile di rimediare ai suoi errori. Attraversate i villaggi di Cefalonia con sguardo attento, parlate con la gente dell’isola, ripercorrete i luoghi della memoria. Sarà un ottimo modo di onorare il passato che abbiamo condiviso e rinforzare ancora di più il legame con quest’isola unica!

  

 

Fonti: http://www.associazioneacqui.it/it/pagine/storie.html)

Leali ragazzi del Mediterraneo, Cefalonia, settembre 1943, Pietro Giovanni Liuzzi, 2° edizione, dicembre 2014

L’ultimo sopravvissuto di Cefalonia, Filippo Boni, Longanesi

La battaglia di Cefalonia, diario di un reduce, Ermanno Bronzini, Il Mulino, 2019

Cefalonia, il processo, la storia, i documenti, Marco De Paolis e Isabella Insolvibile, Viella, 2017

Cefalonia: anamnesi di una tragedia. Emilio Giaccio, tesi di laurea, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” A.A. 2003-2004

Testimonianze e documenti gentilmente concessi dai familiari di Giuseppe Pazzocco

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